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L'età geologica del suolo citereo e le varie ipotesi sulla tettonica di Venere

 

La bassa o nulla attività geologica di Venere è il fatto che stupisce maggiormente, perché dalla conta del numero di formazioni tettoniche sembra altamente improbabile che nessuna di esse sia attiva.

La situazione però è questa, infatti, durante quattro anni di studi sulla superficie non si è riscontrato nemmeno un cambiamento. Questo stato di cose ha portato a chiedersi da quanto tempo non succede nulla sul pianeta.

Lo strumento più adatto per sapere quanti anni ha, in media, la superficie citerea, è la conta dei crateri da impatto. I crateri di Venere hanno un alto grado di conservazione, infatti non esistono agenti esogeni che li possano distruggere. In queste condizioni, i crateri possono essere degradati solo dall'attività endogena: vulcanica e tettonica. Dipendendo solo da questi fenomeni, i crateri diventano uno degli strumenti più efficaci per capire la storia passata e presente del pianeta.

Dal basso numero totale dei crateri da impatto presenti su Venere e dal calcolo della loro densità a grande scala, la maggior parte dei geologi è d'accordo nell'attribuire alla crosta citerea un'età media non superiore ai 500 milioni di anni.

Oltre a questa informazione di massima, dalla quantità e dalla densità dei crateri è possibile anche scoprire dove la tettonica ha agito maggiormente. Il calcolo statistico dei crateri di impatto (divisi tra intatti, degradati da eventi tettonici e invasi da lava), ha portato, infatti, alla luce il fatto che la regione BAT sia stata veramente la più attiva geologicamente, perché all'interno di essa la densità dei crateri intatti è molto minore rispetto a quella di altre zone.

Dalla conta dei crateri, inoltre è possibile stabilire che la superficie di Venere non sembra essere oggi tanto attiva come lo era in passato. La spiegazione di questo fatto è oggi affidata a due scuole di pensiero nettamente diverse: la prima di tipo catastrofica, e la seconda gradualista.

Secondo l'ipotesi catastrofista, attualmente dominante nel mondo scientifico, la statistica dei maggiori crateri da impatto indicherebbe una distribuzione omogenea e quindi un'età "identica" di 500 milioni di anni per tutta la superficie di Venere. Il tutto si spiega ipotizzando un rapido vulcanesimo parossistico avvenuto proprio 500 milioni di anni fa che avrebbe rimodellato l'intera superficie citerea. Da allora (ne è testimonianza il bassissimo numero di crateri invasi dalla lava) non è successo più nulla e il pianeta si troverebbe ora in un profondo letargo geologico.

Questa teoria che sembra fantascientifica, spiega però molte delle caratteristiche geologiche di Venere, prima fra tutte l'esistenza del massiccio del Maxwell. Un altipiano come quello di Lakshmi non potrebbe infatti permanere, se la crosta del pianeta non fosse molto spessa, infatti, per isostasia il massiccio non dovrebbe essere così alto. Per una struttura come quella del Maxwell le radici del massiccio devono arrivare ad una grande profondità. Uno spessore così elevato della crosta implica che il magma non possa risalire facilmente in superficie, ma si depositi sotto di essa. Una tale ipotesi può essere spiegata attraverso un'altra tesi affascinate: quella del rinnovamento ciclico di Venere. Secondo alcuni scienziati non è possibile che la tettonica di Venere si sia fermata a 500 milioni di anni fa, e poi il calore interno non venga più emesso. Questa teoria esprime tale dubbio teorizzando che, una volta che la pressione del magma sotto la crosta diventa tale da non essere più fermato da essa, allora alcune parti di crosta sprofondano nel mantello dando il via ad un grado di vulcanismo parossistico. Secondo calcoli molto complicati di questi teorici, il fenomeno di vulcanismo globale dovrebbe avvenire circa ogni 500 milioni di anni, in totale accordo con i fatti.

L'ipotesi gradualista, invece, non crede che tutta la superficie di Venere abbia un'età identica e rimprovera ai catastrofisti un'eccessiva "disinvoltura" nell'indagine statistica dei crateri da impatto. Essi pensano che proprio quelle parti di superficie, che i catastrofisti considerano come delle mere oscillazioni statistiche, siano in realtà la prova dell'esistenza di una tettonica in continuo sviluppo. Secondo i calcoli di questi studiosi esiste un 25% di superficie molto più antica e un altro 25% molto più giovane di 500 milioni di anni. Nelle zone più giovani è presente una maggior quantità di crateri invasi dalla lava. Questa lava non è stata prodotta dall'impatto meteorico, come in altri casi, ma da effetti endogeni. In questi casi le età della lava e quella del cratere sono notevolmente differenti. Seconda questa ipotesi la storia geologica di Venere non dovrebbe essere così diversa da quella della Terra, nel senso che il suo rinnovamento coinvolgerebbe in maniera continua (ovvero in tempi diversi) porzioni più o meno grandi della crosta. Questa tesi trova larga conferma sia nei fenomeni di Rift Valley, come quello di Beta Regio, sia in quelli delle coronae (quando però vengono interpretate come fosse di subduzione).

Una nuova prova di questa teoria risiede nell'andamento della concentrazione di anidride solforosa nell'atmosfera. Secondo i dati di tre sonde (Pioneer Venus Orbiter, IUE e il Telescopio Spaziale Hubble), che coprono un periodo di tempo di circa 18 anni, la percentuale di SO2 nell'atmosfera citerea si sarebbe abbassata notevolmente. Anche sulla Terra quando un vulcano erutta, libera nell'atmosfera un'ingente quantità di anidride solforosa. Si pensa che quindi anche su Venere sia avvenuta un'eruzione vulcanica negli anni '70. Il principale indiziato dell'eruzione è il Maat. Tutti i vulcani di Venere mostrano di avere pendici chiare al radar, mentre a quelle del Maat Mons questo non succede. Il colore chiaro dei vulcani è imputabile a lava solidificata che si trasforma, nel giro di vent'anni, in pirrotite a causa di condizioni esistenti solo su Venere. Questo fenomeno di trasformazione, che non aveva avuto ancora il tempo di generarsi durante l'esplorazione di Magellano, potrebbe però oggi essersi avviato.

Questa non è però una prova decisiva per la vittoria della teoria gradualista, infatti, i catastrofisti ciclici pensano che, essendo già trascorsi circa 500 milioni di anni dall'ultimo fenomeno di vulcanismo parossistico, sia ormai venuto il tempo che ne avvenga un altro. Questi scienziati interpretano tutto quello che sta accadendo oggi su Venere come l'inizio di un altro ciclo.

 

 

Il messaggio della gravità

 

La sonda Magellano ha acquisito anche dati gravimetrici del pianeta. Studi di questo genere sono molto utili per determinare se sotto i vulcani esistono dei magmi in risalita che li alimentano. I responsabili di questo progetto hanno valutato le anomalie (positive) di gravità su alcuni dei più grandi vulcani di Venere, e contemporaneamente, hanno calcolato la massa globale dell'edificio (ricostruendone le dimensioni a partire dai dati altimetrici della Magellano). A questo punto è stato fatto un confronto tra l'eccesso di gravità che ci si doveva aspettare da una massa come quella dei vari vulcani e il valore effettivamente misurato dalle accelerazioni sulla velocità della Magellano. Il risultato è stato sorprendente: per la maggior parte dei grandi vulcani, l'eccesso di gravità è stato esattamente equivalente a quanto richiesto dalla loro massa e sovrapponibile alla loro posizione geografica. Diventa quindi estremamente improbabile l'esistenza di magmi in risalita al di sotto di essi. Unica eccezione è Beta Regio dove Magellano ha riscontrato un'anomalia gravitazionale positiva di tale entità da rendere indiscutibile l'ipotesi della presenza di un grande punto caldo con materiale in risalita.

La presenza di magma in risalita dall'interno del pianeta avrebbe spiegato sufficientemente la presenza di alcuni continenti e del Lakshmi Planum, ma non è stato così.


  1. Geografia Citerea
  2. La tettonica di Venere
  3. Tesserae e Rift Valley
  4. Ishtar Terra e il Lakshmi Planum
  5. Il canale caldo BAT
  6. Crateri
  7. Eta' geologica di Venere e varie ipotesi, la gravita'

 


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